Andrea Luchi

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La lezione di Aurora: non perdere mai la speranza, la soluzione è dentro di te.

Con l’avvicinarsi del Natale voglio raccontarvi una di quelle storie che un tempo si raccontavano davanti al camino nelle fredde notti d’inverno. Magari in questi tempi moderni la leggerete al caldo di una termocoperta, davanti alla TV, ma l’organo che deve raggiungere (il cuore) è sempre al solito posto….
Questa é la storia di Aurora, una mia paziente da qualche anno, una bella ragazza di 18 anni. È una storia di dolore, speranza, pianto, gioia, felicità.
É la storia di una ragazzina piombata in un brutto incubo da cui ha saputo uscire soprattutto con le sue forze.
É la storia di una ragazzina che qualche mese fa spalava il fango nelle case della Livorno allagata dall’alluvione.
È una storia da raccontare, secondo me, secondo Aurora (che ha scelto le foto da pubblicare e ha dato l’assenso alla pubblicazione) e secondo i suoi genitori (che mi hanno mandato le foto e hanno dato l’assenso alla pubblicazione), perché possa essere di incoraggiamento per tutti i ragazzi che soffrono e che hanno paura di non vedere più la luce in fondo al tunnel.
E’ una storia che dimostra la meravigliosa capacità di guarire del nostro corpo, spesso senza farmaci.
E’ una storia raccontata da Aurora con una mail che mi ha mandato qualche tempo fa.
Mi chiamo Aurora, vivo a Livorno e tra pochi giorni festeggerò i miei 18 anni. E adesso sto bene, ma non è sempre stato così.
Nel giugno del 2014, tre anni fa, la prima domenica dopo la fine delle scuola decisi di andare al mare con le mie amiche. La sera precedente avvertii un certo indolenzimento alla mano sinistra ma non ci detti troppo peso, solo che una volta al mare mi si gonfiò improvvisamente la mano ed il polso sinistro. Sentii anche dolore, quindi immaginando si trattasse della puntura di un qualche insetto, i miei genitori mi portarono al Pronto Soccorso dell’ospedale di Pisa, l’unico in zona con percorso pediatrico. Ospedale che ben conoscevo perché mi ci avevano operata per tonsillectomia e appendicectomia due anni prima.
Diagnosi: tumefazione polso sx, nessun punto di accesso per un puntura di insetto, nessuna infezione.
Cura: Ibufrofene 400 e Agumentin 1000 a scopo preventivo.
Nei giorno successivi fui sottoposta ad ulteriori controlli medici in Reumatologia tra cui ANA, RNM del polso, visita angiologica e Eco Color Doppler degli arti superiori. I risultati furono tutti nella norma.
Terapia: Medrol 16 mg per 1 settimana.
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Passarono i giorni, il polso si sgonfiò un po’ ed il dolore si attenuò durante la terapia cortisonica. Sembrò che il problema “misterioso” che aveva causato tutto questo stesse scomparendo, per cui ripresi a godere delle mie vacanze estive.
Dopo circa un mese, il 15 luglio, la mano e il polso si gonfiarono di nuovo con ancor più dolore. Dal momento che la reumatologa che mi aveva visitato era in ferie e che la sua giovane sostituta mi aveva riproposto la terapia a base di Medrol 16mg in attesa del rientro della titolare, i miei genitori decisero di portarmi al Pronto Soccorso dell’Ospedale Meyer di Firenze per ulteriori accertamenti.
Qui, dopo esami ematici ancor più approfonditi e un controllo reumatologico con una diagnosi di “tumefazione mano e polso sx” ma con il sospetto di una artrite reumatoide giovanile, decisero una terapia con Naprossyn 500, 2 compresse al dì per almeno 1 mese. Programmarono un successivo controllo in Reumatologia, dove mi suggerirono di proseguire la stessa terapia per un ulteriore mese. Stetti meglio, la mano si sgonfiò parzialmente e il dolore si attenuò. Ero però sempre stanca e affaticata per questi antinfiammatori assunti con il caldo estivo.
Il 15 settembre mi svegliai di nuovo con il polso gonfio e dolorante, che cominciò anche a deformarsi. Il dolore si estese, oltre che al polso destro, anche alle caviglie ed alle anche. Non riuscivo a camminare e le mie gengive sanguinavano copiosamente. A questo punto mio padre mi portò con urgenza nuovamente al Meyer, dove venni ricoverata per oltre due settimane.
Qui mi fecero moltissime visite ed eseguirono analisi di ogni tipo, sia reumatologiche, psicologiche, che di sostegno fisioterapico. Fui sottoposta anche ad una visita oculistica.
I medici andarono per tentativi ed esclusero diverse possibili patologie, tra cui il lupus, la sclerosi multipla ed alcune altre. Restò latente il sospetto di una leucemia in fase così iniziale da non poter essere ancora identificata dalle analisi.
Mi diedero una sedia a rotelle per raggiungere il bagno nella mia camera e potermi muovere tra i vari reparti, dato che non riuscivo assolutamente a muovermi in autonomia. Nella terapia sostituirono il Naprossyn 500 (probabile causa dell’emorragia gengivale) con il Brufen 600 x 3 volte al giorno, in aggiunta alla tachipirina 1000 per il dolore più acuto.
Il mio intestino non funzionava da settimane se non stimolato da enteroclismi, infatti iniziai ad avere delle emorroidi a causa della stitichezza.
Nonostante le variazioni, l’emorragia alle gengive proseguì e si sommarono delle perdite ematiche dall’ano al momento dell’evacuazione.
Ero debole e un po’ spaventata per quanto mi stava succedendo, anche perché i medici non avevano delle risposte chiare. Nonostante tutto, la mia famiglia cercò sempre di sdrammatizzare ridendo e scherzando, per evitare di farmi cadere nello sconforto.
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Al Meyer festeggiai il mio 15° compleanno. Vennero molti miei amici di Firenze e da Livorno arrivarono i miei compagni di classe. Fu una bellissima festa nel giardino dell’Ospedale, dove riuscii a ridere e divertirmi nonostante il mio stato e la sedia a rotelle.
Quando fui dimessa dalla Reumatologia del Meyer, ancora non camminavo, e mi mandarono a casa senza una vera e propria diagnosi. Si sospettò una rara forma di emofilia che avrebbe potuto spiegare i dolori articolari e l’emorragia diffusa.
Vennero programmati ulteriori esami presso il Centro Emofilici di Careggi per i giorni successivi che confutarono l’ipotesi emofilica. Quindi la diagnosi più probabile, secondo i medici, fu quella di algo-distrofia, anche se non totalmente confermata dalle analisi ed esami radiografici effettuate. Si ipotizzò che la causa di dell’algo-distrofia fosse di natura psicosomatica, nonostante il parere negativo della psicologa del Meyer, che mi aveva seguito durante tutto il ricovero.
Proseguirono dunque le visite settimanali a Firenze con la psicologa, venne effettuata una ulteriore eco addome per escludere una possibile patologia infiammatoria intestinale.
La fisioterapia fu trasferita all’Ospedale di Livorno, ma l’Ambulatorio del Dolore Funzionale del Meyer continuò a seguirmi periodicamente, prescrivendomi della tachipirina 500 nei casi acuti. Mi furono suggeriti anche dei bagni caldi, meglio se termali e non venne aggiunta nessun’altra terapia.
Per questo, quando possibile per costi e lontananza, mi recai alle Terme di Venturina, a 50km da Livorno, perché attrezzate per i disabili, dato che ancora non riuscivo a camminare e continuavo ad usare la sedia a rotelle.
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Gradualmente ripresi una parziale funzionalità delle gambe, soprattutto grazie all’aiuto quasi giornaliero del validissimo fisio-terapeuta Stefano Nistri del reparto di Neuropsichiatria infantile di Livorno. Cercai di rimettermi a studiare, anche se ogni movimento mi creava dolore e per questo dormivo poco e male. Ero stanca ed era difficile alzarmi alla mattina per recarmi a scuola. I miei genitori mi dovettero imboccare per mangiare e bere, perché non avevo forza nelle mani. Non potevo scrivere e persi moltissimi giorni di lezione.
Il giorno 4 novembre il polso si gonfiò nuovamente e non potei muovermi per il dolore diffuso. Avevo anche una forte tachicardia. Contattammo telefonicamente il Meyer, ma mi pregarono di non tornare a Firenze in quanto non avevano alternative alla mia terapia, la tachipirina. Visto che oramai tutte le indagini erano state fatte, sarebbe stato inutile un nuovo ricovero. Io ed i miei genitori eravamo disperati per cui ci mettemmo in auto la sera stessa, per andare al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Careggi come suggeritoci da un’amica medico, essendo questo il maggior ospedale della regione. Qui richiesero una visita immunologica urgente, supponendo che l’origine di tutto potesse essere un problema immunologico, non ancora ben indagato. Dato che non fu possibile trovare un posto per la notte, tornammo a casa a Livorno.
La mattina successiva ci recammo nuovamente a Firenze. Diluviava ed arrivare in ospedale dal parcheggio del Careggi con la sedia a rotelle mi inzuppò come un pulcino. Non venni neppure visitata dall’immunologo, il quale, dopo aver sommariamente osservato le mie innumerevoli analisi, suggerì una visita presso una reumatologa ormai in pensione, che attualmente si occupava di problematiche psichiatriche adolescenziali. Ce ne andammo stanchi, scoraggiati ed indignati.
Nei giorni successivi continuai a peggiorare. Oltre a non poter muovere gli arti e le anche, ad avere l’intestino irregolare e l’emorragia gengivale, iniziai ad avere dolore anche al collo e alle spalle. Le articolazioni, alla ricerca di una posizione antalgica, si deformarono sempre di più, dislocandosi.
Così, prendemmo contatti con il Reparto di Immunologia dell’Ospedale Regina Margherita di Torino oltre che con Reumatologia e Malattie Rare dell’Istituto Gaslini, nella persona del dottor ***. Decidemmo quindi di partire per Genova, essendo questo reparto collegato ad un database medico relativo alle malattie rare a livello europeo.
Il dottor ***, visitandomi, manipolò i 18 trigger points trovandone positivi 12, riuscì quindi a diagnosticare il mio dolore come una fibromialgia idiopatica. Mi ricoverò con urgenza promettendomi di porre velocemente rimedio al mio problema.
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Fui messa in camera in isolamento per cinque giorni, viste le ferree procedure di sicurezza dell’Istituto Gaslini, rivolte a chi avesse frequentato un pronto soccorso nei tre mesi precedenti al ricovero. Il dottor ***, dopo avermi fatto fare ogni possibile analisi e verifica medica, riuscì a mettermi in piedi. Mi somministrò una dose doppia di Tachipirina 1000 e del Voltaren 100, che finalmente mi dettero sollievo dal dolore. Effettuai anche una visita odontoiatrica, con la quale venne curata la mia gengivite emorragica con dei massaggi gengivali da effettuarsi con un appropriato spazzolino elettrico ed uno specifico colluttorio.
Tornai a casa dopo una settimana camminando con le mie gambe anche se lentamente e con molta fatica, dato che i miei muscoli si erano nel frattempo indeboliti per la lunga permanenza sulla sedia a rotelle. Proseguii la fisioterapia a Livorno per ritrovare una postura corretta e correggere quella deformata dalla ricerca di una posizione antalgica.
Il dott. *** nei successivi controlli, a cadenza mensile, notò che le dita delle mani erano fredde e che avevo una leggera e costante tachicardia. Notò anche un leggero ingrossamento della tiroide, da tenere sotto controllo nel futuro, durante la crescita.
Nonostante la dieta ricca di fibre ed acqua ebbi ancora problemi a defecare, quindi mi suggerì di utilizzare un integratore a base di potassio, magnesio ed altri sali minerali con il risultato di una parziale regolarizzazione del mio intestino.
Riuscii a farmi forza, consapevole di non avere una malattia mortale, così come pure una malattia degenerativa della muscolatura. Dovevo imparare a convivere con questa bestiaccia che si chiama fibromialgia. Potevo tenerla sotto controllo mangiando sano e con tante fibre, facendo fisioterapia con la prospettiva futura di una attività sportiva di tipo dolce come yoga o pilates.
In caso di dolore, che tendeva ad aumentare vicino al ciclo mestruale, avrei potuto prendere i farmaci consigliati, Tachipirina e Voltaren. Del resto le mie analisi erano perfette, come lo erano sempre state in questi mesi, salvo il colesterolo che aveva spesso un valore superiore alla norma.
Ripresi gradualmente la mia vita, camminando sempre di più, utilizzando meglio le mani che erano però ancora un po’ indolenzite. Feci delle elettrostimolazioni quotidiane ai polsi, per aiutarli a ritrovare una posizione corretta, proseguii la fisioterapia e la psicoterapia all’Ospedale di Livorno.
Nel frattempo decisi di lasciare il Liceo Scientifico perché avevo perso troppe lezioni. Questa decisione fu anche fortemente condizionata sia dai compagni che dagli insegnanti, perché non erano stati molto collaborativi nei miei confronti e mi avevano lentamente escluso dalla classe.
Grazie all’incoraggiamento della mia famiglia, riuscii però a non perdere l’anno scolastico, cambiando percorso formativo e scegliendo il Liceo delle Scienze Umane della mia città, dove ho trovato un ambiente accogliente ed un valido aiuto da parte dei nuovi insegnanti e compagni.
Tutti mi hanno sostenuto affettuosamente per farmi recuperare il programma e conoscere le nuove materie, nonostante le continue visite e sedute riabilitative all’Ospedale. In tre mesi mi misi in pari con lo studio riuscendo a concludere l’anno con la promozione con la media del sette.
Passarono i mesi, continuai a fare ginnastica in Ospedale ed a stare sempre meglio. Nel frattempo i miei genitori si documentarono, leggendo diversi studi scientifici e pubblicazioni di convegni relativi alla fibromialgia. Si imbatterono in alcuni primi articoli relativi alla medicina evoluzionistica e negli scritti del dott. Andrea Luchi. Questi affermava che talvolta la fibromialgia fosse una malattia mal curata. Infatti poteva capitare che le donne affette fossero ritenute delle malate mentali, invece di essere curate per l’origine “vera“ della fibromialgia, che altro non era che la sintomatologia di problemi più profondi,  di natura spesso infiammatoria..
Il percorso con la psicoterapeuta si stava concludendo, anche perché ritenuto dal dott. ****, ma anche da me, ormai superfluo. Mi diagnosticarono una sindrome da conversione, senza aver però rinvenuto quale fosse stato il trauma scatenante.
Non ho mai pensato di avere un problema psicosomatico, ma un dolore vero con una causa del tutto fisica.
Improvvisamente una sera, nel marzo 2016, mentre ero al cinema in compagnia del mio ragazzo dopo una pizza e coca cola, mi trovai di colpo a vivere un vero incubo. In pochi minuti il polso riprese a gonfiarsi, a deformarsi. Mi faceva male tutto il braccio ed un’anca, camminai con grande difficoltà per raggiungere l’auto nel parcheggio fuori della sala. Proprio adesso che credevo di stare meglio mi ritrovai nuovamente al “giorno uno”. Che stava succedendo?
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Contattammo immediatamente il dott. *** al Gaslini, che mi propose di tornare per un nuovo ricovero a Genova oppure di provare ad assumere degli antistaminici, ipotizzando una reazione allergica a qualche cibo.
Escludemmo un nuovo ricovero, provammo la terapia con l’antistaminico ma, a parte la spossatezza data dal medicinale, non migliorai. Decidemmo allora di fissare un appuntamento con il dottor Luchi a Grosseto, avendo appreso che stava curando una amica dei miei genitori per problemi alla tiroide. Del resto al Gaslini avevano già supposto un possibile interessamento della tiroide, nonostante il mio TSH fosse regolare. Il dott. Luchi sembrava esperto di fibromialgia, quindi eravamo stimolati all’idea di incontrarlo.
Un paio di giorni dopo incontrai il dottor Andrea Luchi. Mi chiese come stessi, mi ascoltò, mi domandò nel dettaglio che cosa mangiassi a colazione e negli altri pasti. Approfondì quali fossero le mie abitudini e quanto fosse regolare il mio intestino ed il mio ciclo mestruale. Lesse con molta attenzione tutta la mia ormai “corposa” cartella clinica.
Mi disse senza mezzi termini che stavo sbagliando tutto col mangiare, il mio malessere era probabilmente originato dalle mie cattive abitudini. Mi promise che se mi fossi fidata di lui nel giro di poco tempo sarei stata meglio. Pensai che di avere fiducia me lo avevano già chiesto anche al Gaslini, però lui me lo disse con un tono che non avrebbe ammesso un rifiuto. Mi prescrisse quindi una nuova serie di esami ematici, fra cui alcuni che fino ad allora non avevo mai fatto, oltre che una ecografia tiroidea. Mi disse infine che la fibromialgia alla mia età non poteva essere progredita, e che fosse uno stato infiammatorio del mio organismo. Secondo lui, il mio corpo ci stava mandando una serie di segnali per avvisarmi come mi trovassi in una fase di totale squilibrio.
Uscii dalla visita in lacrime. Ero disperata ed indolenzita per il viaggio, sentendomi poco fiduciosa di quest’ennesimo medico. Mi voleva togliere tutti i miei cibi preferiti: il latte con l’ovomaltina a colazione, la pasta, i biscotti, il pane, la soia, lo zucchero, il gelato, la pizza ed anche i formaggi!!! Non sapevo proprio cosa pensare, stavo già soffrendo così tanto per i dolori, ed ora non potevo più neppure mangiare. Essendo una convinta animalista, la carne non mi attirava. Mi rimanevano quindi pesce, uova, frutta, verdura, patate, un pochino di riso, oltre che le noci e nocciole. Pensai che questo fosse un pazzo!! Piansi e mi arrabbiai con i miei genitori. Ero disperata!!
A malincuore decisi di provare anche questa strada. Del resto non si trattava di farmaci, stavolta, ma di cambiare le nostre abitudini alimentari ed il nostro modo di cucinare. Anche i miei genitori si adattarono a questo cambiamento per aiutarmi ad accettarla. Abbiamo letto tutti il libro di Robb Wolf, La Paleo Dieta, ci siamo documentati, abbiamo sperimentato nuove ricette. Dopo solo 15 giorni con questa nuova alimentazione sparì il gonfiore ed il dolore alla mano. Stetti meglio, mi sentii più energica ed il mio intestino tornò a funzionare come un orologio, evacuavo giornalmente in maniera naturale per cui sparirono anche le emorroidi.
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Dalle analisi e dall’ecografia effettuati risultai affetta da Tiroidite di Hashimoto in fase iniziale, il che poté ben spiegare i dolori articolari, la tachicardia e la debolezza generale. Se trascurata questa malattia autoimmune potrebbe causare ipo-tiroidismo, ma se curata con l’alimentazione e le giuste integrazioni secondo le indicazioni del dott. Luchi avrebbe essere tenuta sotto controllo, addirittura anche regredire con un po’ di fortuna.
Finalmente ebbi una vera diagnosi, mi sembrava di avere trovato il punto da cui partire per trovare la soluzione.
Con i risultati ottenuti continuai con più determinazione questa strana dieta, dimagrii alcuni chili perdendo due taglie, dalla tg 44 alla 40. Dovetti integrare giornalmente il ferro che era molto basso, come pure anche lo zinco, il magnesio, il selenio, le vitamine C, B12, D. Nella fase premestruale utilizzai Curcuma titolata invece del Voltaren e funzionava. Cominciai successivamente ad assumere del progesterone naturale per attenuare il mio ciclo mestruale, dato che era sempre più abbondante e prolungato causandomi una costante debolezza ed anemia. Se non altro non prendevo farmaci ma solo integratori. Erano tanti e mi feci uno schema per ricordameli tutti.
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Dopo alcuni mesi, nel controllo ematico successivo, risultò un sensibile miglioramento in molti valori. Permaneva una forte anemia ed il dott. Luchi, pur soddisfatto dei risultati, mi preparava all’idea di aver bisogno di integrare gli ormoni per correggere la mia tiroidite, scelta irreversibile che avrebbe influito su tutta la mia vita. Sperava comunque di riuscire a farmela regredire, vista la mia giovane età ed avendo iniziato a contrastare la tiroidite al suo sorgere.
Grazie a questa dieta paleo, ho imparato a cucinare cibi nuovi ed a mangiare meglio. Utilizzo l’olio di cocco, uso curry e curcuma per cuocere il pollo, preparo tisane allo zenzero quando mi sento stanca. Ho scoperto una pizza buonissima con farina di mandorle e di mais, faccio le crèpes con la farina di castagne che sono strepitose tanto da piacere anche alle mie amiche. A casa abbiamo imparato a preparare il tradizionale brodo di ossa. Inizialmente la sua preparazione l’abbiamo trovata una pratica sconcertante, con quelle ossa e cartilagini che bollivano tutta la notte. Una volta provato però, lo abbiamo trovato buonissimo e ne bevo una tazza quasi ogni sera.
Adesso faccio colazione con cibi salati invece che con latte e biscotti e mi sento ogni giorno sempre più in forze.
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Mi sono iscritta in palestra per un corso di step, abbandonando definitivamente la fisioterapia dell’ospedale ormai inutile.
Sono stata in vacanza a Londra con la mia famiglia ed a Malta con la scuola. Ho un sacco di progetti per il futuro, fra cui frequentare l’università all’estero. Anche al mio ragazzo piace la dieta paleo e la segue. Soprattutto da quando ho cambiato il mio regime alimentare, non ho più avuto dolori e gonfiori alle articolazioni.
Qualche settimana fa, a poco più di un anno dalla prima visita dal dott. Luchi, ho ripetuto l’ecografia alla tiroide e le analisi ematiche di controllo. Mi sono messa a piangere anche stavolta, dopo la visita, ma per gioia.
La tiroide sta tornando a funzionare in maniera corretta e le analisi hanno evidenziato che la tiroidite di Hashimoto sta regredendo gradualmente e forse scomparirà del tutto. Gli autoanticorpi sono tornati sotto il limite. Dovrò continuare ancora ad utilizzare gli integratori e a mangiare paleo, ma adesso per me è diventato un piacere.
Quella che sembrava una promessa miracolosa, invece è diventata realtà.
Con qualche giorno d’anticipo, il 23 settembre ho festeggiato il mio 18° compleanno e non potevo ricevere alcun miglior regalo: la mia salute.
Grazie dott. Luchi, grazie davvero!!
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P.S.
E’ molto raro vedere una tiroidite cronica regredire seppur parzialmente. Probabilmente questo è legato anche alla giovane età di Aurora e al fatto di averla presa nelle fasi iniziali.
In realtà io ho fatto ben poco perché sono convinto che il merito sia soprattutto dovuto alla capacità di Aurora di cambiare la sua alimentazione decisamente in senso evolutivo.
Non è assolutamente facile, infatti, per una ragazza cosi giovane riuscire a togliere dei cibi che sono così appetibili per il palato e sono così diffusi da sembrare ormai parte integrante del mangiare quotidiano.
Ma in tal modo Aurora è riuscita in un colpo solo a ridurre l’infiammazione subclinica (e clinica) che l’affliggeva e a far scomparire sintomi che sembravano appartenere a patologie diverse ma in realtà erano il frutto soprattutto dei danni del mangiare e del vivere quotidiano sul nostro fisico non perfettamente adattato alla modernità.
Il nostro corpo ha però molte delle risorse che servono per affrontare gran parte delle malattie che ci colpiscono e per permetterci una vita normale. Basta dargliene la possibilità: e mangiare le cose giuste sono il primo passo verso la guarigione.
Per coloro che vogliono approfondire il tema dell’alimentazione in senso “evoluzionistico” consiglio di affidarsi alle pubblicazioni scientifiche.
Andate sul sito che raccoglie tutte le pubblicazioni scientifiche del mondo (PubMed) e digitate “paleolithic diet”. Troverete tutti gli studi su questo approccio all’alimentazione.
Per coloro invece che vogliono solo approfondire senza velleità scientifiche consiglio il libro divulgativo di Robb Wolf, La Paleo Dieta: potrebbe cambiarvi la vita.

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5 risposte

  1. Sono rimasta molto colpita perchè ho una diagnosi di fibromialgia dal 2010. Malgrado varie cure non sto bene e soffro di stanchezza e depressione. Mi informerò su questa dieta e cercherò magari un dottore a Firenze che mi aiuti ad organizzarla.

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